Cosa è e come si calcola il mantenimento dei figli
Chi deve pagare il mantenimento dei figli?
Sia che la coppia fosse sposata che convivente, il genitore con cui i figli vanno a vivere ha diritto a ottenere dall’altro un assegno mensile per il mantenimento dei figli finché questi ultimi non diventano economicamente autosufficienti. Quindi l’obbligo si protrae ben oltre la maggiore età. Tale contributo non deve coprire integralmente tutte le spese per i figli: queste infatti gravano non solo su un singolo genitore ma su entrambi in proporzione alle rispettive capacità economiche.
Dall’altro lato, il mantenimento non si limita a garantire le spese essenziali per la sopravvivenza dei figli (vitto e alloggio, salute e istruzione) ma riguarda anche tutte quelle necessarie alla vita di relazione, allo svago, allo sport, gite, locomozione, ecc.
A determinare l’assegno di mantenimento può essere l’accordo delle parti. In mancanza di accordo, sarà il giudice a decidere: giudice a cui uno dei due genitori può sempre rivolgersi per ottenere la condanna dell’altro se inadempiente in tutto o in parte.
L’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli scatta a partire dalla nascita degli stessi e non già dalla sentenza del tribunale.
Ricordiamo infine che la decisione sull’assegno di mantenimento può sempre essere oggetto di successiva revisione, ad istanza del genitore collocatario (quello cioè con cui i figli vivono) se mutano le esigenze della prole. E di norma queste crescono col crescere dell’età. Quindi anche l’eventuale accordo stretto dai genitori quando ancora i figli erano piccoli non ha alcun carattere di definitività. Tuttavia, per modificare l’assegno di mantenimento è necessario un ulteriore ricorso al giudice.
Come viene calcolato il mantenimento per i figli?
L’ammontare del mantenimento viene parametrato alle capacità economiche di entrambi i genitori (Cass. ord. n. 17903/2023). Perché – dice la legge – anche dopo la separazione bisogna garantire loro lo stesso tenore di vita che avevano quando la famiglia era unita.
Questo significa, in buona sostanza, che tanto più la coppia viveva in condizioni agiate, tanto maggiore deve essere l’assegno. Non si può tenere in ristrettezze i figli solo per “fortificarli nello spirito” e abituarli alle rinunce, con scopo educativo.
Non esistono, al di là di ciò, ulteriori elementi per calcolare gli alimenti. In ogni caso il giudice deve sempre motivare in modo adeguato la propria decisione.
Il tribunale quindi parte dalla verifica delle rispettive condizioni economiche dei genitori. Non rientrano tra le risorse economiche da considerare ai fini dell’assegno di mantenimento gli aiuti che i familiari forniscono a un coniuge durante o dopo il divorzio.
A chi va pagato l’assegno di mantenimento?
L’assegno di mantenimento per i figli minorenni deve essere versato nelle mani (o meglio, sul conto corrente) del genitore con cui questi vivono, a cui peraltro va anche la casa coniugale (come conseguenza dell’esigenza di garantire alla prole lo stesso habitat domestico).
Il genitore è legittimato a chiedere l’assegno di mantenimento a condizione quindi che coabiti con il figlio maggiorenne. Si può parlare di convivenza con il genitore in caso di stabile dimora del figlio maggiorenne presso l’abitazione familiare, sia pure con eventuali sporadici allontanamenti per brevi periodi e, quindi, con esclusione dell’ipotesi di rari ritorni, ancorché regolari, configurandosi in tal caso un rapporto di mera ospitalità. Se però il figlio si trasferisce stabilmente in un’altra città, il genitore non più convivente perde la legittimazione a richiedere l’assegno per il mantenimento del figlio.
Una volta divenuto maggiorenne, il figlio può chiedere al genitore tenuto al pagamento di versare l’assegno direttamente a sé medesimo. In mancanza di tale richiesta, l’importo deve essere sempre bonificato al genitore collocatario.
Fino a quando si deve pagare il mantenimento dei figli?
I genitori sono obbligati a contribuire alle spese dei figli, inclusi quelli maggiorenni, fino a quando questi non raggiungono l’autonomia economica. Anche se il figlio è maggiorenne, se non può trovare un lavoro che lo renda autosufficiente, l’obbligo di mantenimento persiste comunque, ma non in eterno: secondo infatti la Cassazione, raggiungi i 30/35 anni (a seconda del percorso di studi intrapreso), si può presumere che il perdurare dello stato di disoccupazione sia dovuto a inerzia. E, in tal caso, cessa l’obbligo di mantenimento. Perché il figlio che non studia e non lavora non ha diritto ad alcun mantenimento.
È onere del figlio ormai maggiorenne di provare di essersi impegnato effettivamente per rendersi economicamente autonomo e trovare un’occupazione in base alle opportunità offerte dal mercato del lavoro, anche ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell’attesa di un’opportunità consona alle proprie ambizioni (Cass. 14 agosto 2020 n. 17183).
La stessa regola si applica ai figli con patologie, come la depressione, tale da rendere difficile l’inserimento lavorativo ma non da implicare un grave handicap, che invece impone ai genitori il mantenimento del figlio come per quello minorenne, vita natural durante (Cass. ord. n. 23133/2023).
Una volta che il figlio ha raggiunto l’autonomia, il mantenimento cessa per sempre e non rivive neanche se quest’ultimo, dopo poco tempo, dovesse tornare in condizioni di difficoltà economiche. Si pensi al giovane che, assunto da un’azienda, viene licenziato dopo pochi mesi.